Finita la guerra passò non poco tempo prima che il loro valore, le loro gesta eroiche, il loro coraggio fossero riconosciuti. Eppure le donne partigiane della Resistenza furono determinanti per la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Oggi, lunedì 25 aprile, è la festa della Liberazione. E oggi come mai, è necessario ricordare il fondamentale ruolo che ebbero le donne della Resistenza, dalle combattenti alle staffette, nel riconquistare la libertà e la giustizia del loro Paese.

Secondo l’ANPI, furono oltre 35.000 le donne partigiane combattenti che imbracciarono un’arma e lottarono per la liberazione dal nazifascismo

Quante furono le donne partigiane

Furono oltre 70.000 le donne partigiane, organizzate nelle formazioni pluripartitiche dei Gruppi di difesa delle donne. Secondo le stime dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), le combattenti, ovvero tutte coloro che imbracciarono un’arma e lottarono contro i nazifascisti, furono circa 35.000. Di tutte queste donne, sempre secondo le cifre dell’ANPI, furono 4.653 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 2.756 le donne deportate nei lager tedeschi, 2.900 le donne giustiziate o uccise in combattimento, oltre 1.700 le donne ferite e mutilate. Cifre e numeri che secondo molte associazioni risultano essere molto inferiori ai dati reali di quante donne effettivamente presero parte alla Resistenza e alla Liberazione dell’Italia. Per decenni, infatti, terminata la guerra, il contributo delle partigiane non fu a livello storiografico e istituzionale mai debitamente riconosciuto, e molte storie di loro andarono perdute. Il ruolo delle donne nella Liberazione dell’Italia dal nazifascismo fu per molto tempo relegato a un ruolo secondario, e negli anni si iniziò infatti a parlare di “Resistenza taciuta“. Questo perché storicamente la Lotta di Liberazione fu sempre declinata al maschile. Erano gli uomini a combattere, a sparare, a ricevere medaglie. Le donne, al massimo potevano ricoprire ruoli di supporto, di logistica, le famose staffette. Ma se è vero che ci furono, e se è vero che anche il ruolo delle staffette fu determinante per la Liberazione dell’Italia, non si può negare che moltissime, decine di migliaia di donne, ricoprirono ruoli di primissimo piano nella guerra al nazifascismo che portò alla liberazione dell’Italia.

Il 10 agosto 1944 nacque il primo distaccamento di donne combattenti dalla brigata d’assalto “Eusebio Giambone”

Chi furono le donne combattenti della Resistenza

Oltre 35.000 furono le donne combattenti della Resistenza, che impugnarono le armi per liberare l’Italia dal giogo nazifascista. Presero parte alle tante brigate partigiane nate durante la Resistenza, combatterono insieme agli uomini e in alcuni casi vennero pure scelte come capi squadra delle stesse brigate. Il loro ruolo fu determinante soprattutto nelle montagne e nelle campagne. Tante le donne che lottarono sull’Appennino e in altre catene montuose strategiche per il controllo e la liberazione dell’Italia. Il 10 agosto 1944 nacque il primo distaccamento di donne combattenti. La seconda divisione Garibaldi “Piemonte”, si distaccò dalla brigata d’assalto “Eusebio Giambone“, per dare vita alla prima unità femminile di partigiane combattenti. La brigata era prevalentemente legata al Partito Comunista, ma ci militarono anche esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale, del Partito Socialista Italiano, del Partito d’Azione ma anche della Democrazia Cristiana.

Carla Capponi, la partigiana che liberò Roma

Tra le donne combattenti non si può non ricordare Carla Capponi, la partigiana e vice comandante che concorse alla liberazione di Roma. Nata nel 1918 da una famiglia marchigiana di antifascisti, nel 1943, subito dopo il primo bombardamento nella Capitale, il bombardamento di San Lorenzo, Carla accorse subito al Policlinico Umberto I per dare una mano e diventare volontaria. Ma fu solo dopo l’8 settembre che Carla si unì alla Resistenza. La mattina del 9 settembre infatti, si unì a un gruppo di civili armati e accorse come volontaria in prima linea nella battaglia per la difesa di Roma. Alla Garbatella si unì a un gruppo di donne che stavano distribuendo cibo ai militari italiani. Ma Carla voleva fare di più. Voleva anche lei prendere le armi e combattere per la sua Roma. I compagni dei Gruppi di azione patriottica (GAP) però si rifiutarono di darle un’arma perché preferivano riservare alle donne, come scrive l’ANPI, funzioni di appoggio. Carla rubò quindi, nell’ottobre del 1943, una pistola a un militare che si trovava vicino a lei in un autobus. E così la sua Resistenza ebbe inizio. Nel 1944 Carla Capponi fu tra gli organizzatori dell’attentato di via Rasella contro una formazione dell’esercito tedesco. Azione che fu poi presa dai nazisti come pretesto per la strage delle Fosse Ardeatine. Alla fine dell’aprile del 1944 Carla Capponi si unì alle formazioni partigiane della campagna romana, a sud di Roma, e operò nella zona Casilina-Prenestina, poco dietro il fronte tedesco di Cassino. A partire da quel momento Carla Capponi fu nominata vicecomandante dell’unità partigiana operante tra Valmontone, Zagarolo e Palestrina con il grado di capitano. Finita la guerra, Carla Capponi fu decorata con la medaglia d’oro al valore militare per la sua lotta contro il fascismo e contro il nazismo.

Germana Boldrini, la 17enne della battaglia di Porta Lame

Altra storia di una partigiana combattente che merita di essere ricordata è quella di Germana Boldrini. Fu lei, una ragazza all’epoca di 17 anni, a lanciare il segnale che la sera del 7 novembre 1944 determinò l’inizio della battaglia di Porta Lame a Bologna. Nel film-documentario di Liliana Cavani sul ruolo delle donne nella Resistenza italiana, girato nel 1965, la regista chiese a Germana Boldrini da dove le fosse venuto il coraggio di lanciare quel segnale. La Boldrini così rispose: “Forse perché in casa mia si è sempre vissuti in quella atmosfera, date le circostanze del mio povero babbo che aveva vissuto dodici anni di confino e quando era a casa era molestato quasi tutti i giorni dai fascisti; e ne ha subito di tutti i colori ed io essendo la più grande, si vede che mi son messa nel sangue quel certo spirito di coraggio per difendere mio padre fino alla morte, perché aveva passato una gioventù tanto crudele, tanto brutta, che mi rimpiangeva il cuore solo a sentirlo parlare, tante volte. Mio padre è stato fucilato. Prima hanno minato la casa e poi l’hanno fucilato sulle macerie della casa”. E nel raccontare cosa successe dopo il suo segnale che determinò l’inizio della battaglia di Porta Lame a Bologna, Germana Boldrini ricordò: “Quando arrivai a Porta Lame con la mia arma automatica e le bombe a mano lanciai il fuoco, i miei compagni mi seguirono e ci fu un grande combattimento”.

Tratto da “Luce!”